And the Oscar goes to? (favoritismi)

Puntuale come un orologio svizzero, a fine febbraio arriva l’evento più atteso dell’intera industria del cinema. Gli Oscar riescono a calamitare l’attenzione mediatica dell’intero pianeta, consacrano attori e attrici,  governano le future mosse degli esercenti sui film da tenere o eliminare dai cartelloni. Prevedere le mosse dell’Accademy of Motion Picture Arts and Sciences è praticamente impossibile; per questo, arriva puntuale non una previsione sui vincitori ma la lista dei meritevoli secondo il sottoscritto. Preparate i caffè e i birroni in attesa dello spettacolo di questa notte.

Miglior film:

  • La grande scommessa, regia di Adam McKey
  • Il ponte delle spie, regia di Steven Spilberg
  • Brooklyn, regia di John Crowley
  • Mad Mx: Fury Road, regia di George Miller
  • Sopravvissuto – The Martian, regia di Ridley Scott
  • The Revenant, regia di Alejandro González Iñárritu
  • Room, regia di Lenny Abrahamson
  • Il caso Spotlight, regia di Tom McCarthy

Miglior regia:

  • Lenny Abrahamson, Room
  • Alejandro González Iñárritu, The Revenant
  • Tom McCarthy, Il caso Spotlight
  • Adam McKey, La grande scommessa
  • George Miller, Mad Max: Fury Road

Miglior attore protagonista:

  • Bryan Cranston, L’ultima parola – La vera storia di Donald Trumbo
  • Matt Damon, Sopravvissuto – The Martian
  • Leonardo DiCaprio, The Revenant
  • Michael Fassbender, Steve Jobs
  • Eddy Redmayne, The Danish Girl

Miglior attrice protagonista:

  • Cate Blanchett, Carol
  • Brie Larson, Room
  • Jennifer Lawrence, Joy
  • Charlotte Rampling, 45 anni
  • Saoirse Ronan, Brooklyn

Miglior attore non protagonista:

  • Christian Bale, La grande scommessa
  • Tom Hardy, The Revenant
  • Mark Ruffalo, Il caso Spotlight
  • Mark Rylance, Il ponte delle spie
  • Sylvester Stallone, Creed – Nato per combattere

Miglior attrice non-protagonista:

Miglior sceneggiatura originale:

  • Matt Charman, Joel ed Ethan Cohen, Il ponte delle spie
  • Alex Garland, Ex-Machina
  • Josh Cooley, Ronnie del Carmen, Pete Docter e Meg LeFauve, Inside Out
  • Tom McCarthy, Josh Singer, Il caso Spotlight
  • Andrea Berloff, Jonathan Herman, S. Leight Savidge e Alan Wenkus, Straight Outta Compton

Miglior sceneggiatura non originale:

  • Charles Randolph e Adam McKey, La grande scommessa
  • Nick Hornby, Brooklyn
  • Phillis Nagy, Carol
  • Drew Goddard, Sopravvissuto – The Martian
  • Emma Donoghue, Room

Miglior film straniero:

Miglior film d’animazione:

Miglior fotografia:

  • Ed Lachman, Carol
  • Robert Richardson, The Hateful Eight
  • John Seale, Mad Max: Fury Road
  • Emmanuel Lubenzki, The Revenant
  • Roger Deakins, Sicario

Miglior scenografia:

  • Rena DeAngelo, Berhard Henrich e Adam Stockhausen, Il ponte delle spie
  • Michael Standish e Eve Stewart, The Danish Girl
  • Colin Gibson e Lisa Thompson, Mad Max: Road Fury
  • Celia Bobak e Arthur Max, Sopravvissuto – The Martian
  • Jack Fisk e Hamish Purdy, The Revenant

Miglior montaggio:

  • Hank Corwin, La grande scommessa
  • Margaret Sixel, Mad Max: Road Fury
  • Stephen Mirrione, The Revenant
  • Tom McArdle, Il caso Spotlight
  • Marianne Brandon e Mary Joe Markin, Star Wars: Il risveglio della forza

Miglior colonna sonora:

  • Thomas Newman, Il ponte delle spie
  • Carter Burwell, Carol
  • Ennio Morricone, The Hateful Eight
  • Jóhann Jóhannsson, Sicario
  • John Williams, Star Wars: Il risveglio della forza

Miglior canzone:

Migliori effetti speciali:

  • Mark Williams Ardington, Sara Bennett, Paul Norris e Andrew Whitehurst, Ex-Machina
  • Andrew Jackson, Dan Oliver, Andy Williams e Tom Wood, Mad Max: Fury Road
  • Anders Langlands, Chris Lawrence, Richard Stammers e Steven Warner, Sopravvissuto – The Martian
  • Richard McBride, Matt Shumway, Jason Smith e Cameron Waldbauer, The Revenant
  • Chris Corbould, Roger Guyett, Paul Kavanagh e Neal Scanlan, Star Wars: Il risveglio della Forza

Miglior sonoro:

  • Andy Nelson, Gary Rydstrom e Drew Kunin, Il ponte delle spie
  • Chris Jenkins, Gregg Rudloff e Ben Osmo, Mad Max: Fury Road
  • Andy Nelson, Christopher Scarabosio e Stuart Wilson, Star Wars: Il risveglio della Forza
  • Paul Massey, Mark Taylor e Mac Ruth, Sopravvissuto – The Martian
  • Jon Taylor, Frank A. Montaño, Randy Thom e Chris Duesterdiek, The Revenant

Miglior montaggio sonoro:

  • Mark Mangini e David White, Mad Max: Fury Road
  • Alan Robert Murray, Sicario
  • Matthew Wood e David Acord, Star Wars: Il risveglio della Forza
  • Oliver Tarney, Sopravvissuto – The Martian
  • Martin Hernandez e Lon Bender, The Revenant

Migliori costumi:

  • Sandy Powell, Carol
  • Sandy Powell, Cenerentola
  • Paco Delgado, The Danish Girl
  • Jenny Beavan, Mad Max: Fury Road
  • Jacqueline West, The Revenant

Miglior trucco e acconciature:

  • Lesley Vanderwalt, Elka Wardega e Damian Martin, Mad Max: Fury Road
  • Love Larson e Eva Von Bahr, Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve
  • Sian Grigg, Duncan Jarman e Robert A. Pandini, The Revenant

Miglior documentario:

  • Amy, regia di Asif Kapadia
  • Cartel Land, regia di Matthew Heineman
  • The Look of Silence, regia di Joshua Oppenheimer
  • What Happened, Miss Simone?, regia di Liz Garbus
  • Winter on Fire: Ukraine’s Fight for Freedom, regia di Evgeny Afineev

Il caso Spotlight (recensione)

Presentato alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia e successivamente al Toronto International Film Festival, arriva finalmente nelle sale italiane Il caso Spotlight. Il film si basa sui fatti reali condotti dai giornalisti del The Boston Globe ai quali è andato il Premio Pulitzer per il pubblico servizio di un quotidiano. La regia è firmata da Tom McCarthy, qui al suo quinto lungometraggio. La pellicola si è portata a casa ben sei nominations ai prossimi premi Oscar, tra cui miglior film e miglior regista.

La sezione Spotlight del quotidiano The Boston Globe è formata da un gruppo di giornalisti investigativi che si occupa di casi occultati per l’opinione pubblica o archiviati. Il nuovo direttore Marty Baron vuole riportare il giornale in auge e affida ai giornalisti di Spotlight il caso di un sacerdote che ha abusato di numerosi minorenni senza che venissero mai presi provvedimenti drastici da parte della giustizia. I membri della squadra investigativa iniziano le indagini d’archivio tra giornali, sentenze giudiziarie e annuari della chiesa; scoprono presto che la portata dei fatti è molto più ampia e grave di quanto credessero. Intenzionati a portare all’attenzione pubblica una storia celata per anni da autorità e media, la squadra Spotlight compirà un lavoro giornalistico encomiabile.

Il cast del film è di altissimo livello, tutti i protagonisti sono perfettamente adatti ai loro ruoli che interpretano con particolare aderenza recitativa. Il direttore del giornale è Liev Shreiber e il capo della sezione Spotlight è un rinato Michael Keaton. Completano il cast, i restanti membri della squadra investigativa composta da: Mark Ruffalo, John Slattery, Rachel McAdams, Brian d’Arcy James e Stanley Tucci.

Il regista procede con una narrazione chiarissima fin dall’inizio. Infatti, per far comprendere allo spettatore il caso e il genere d’inchiesta condotta, si addentra nei meandri della prassi giornalistica dal profondo. La narrazione è costruita con un andamento cronologico che fa da lente d’ingrandimento in una serie di peccati d’ufficio: l’occultamento dei procedimenti giudiziari grazie alle conoscenze ai piani alti del clero, i ricatti condotti per mano del cardinale di Boston e le testimonianze delle vittime. Il film è autentico e per niente fazioso, rischio facilissimo, mettendo in luce il caso in maniera scientifica. La regia di McCarthy è asciutta e priva di vezzi, mostra le azioni dei protagonisti e sottolinea nei campi lunghi il numero elevato di chiese a Boston. La fotografia predilige colorazioni tenui e luci sempre chiare; una metafora del portare tutto a galla per diffondere la verità sui fatti d’inchiesta. Il caso Spotlight è un film pienamente riuscito nella sua interezza, efficace la storia che viene raccontata ma ancor di più la maniera messa in atto dal regista per farlo.

Birdman (recensione)

Birdman è l’ultimo film del regista messicano Alejandro González Iñárritu, presentato all’ultimo Festival di Venezia, che ha generato un animato chiacchiericcio da parte di pubblico e critica. Il film è uscito nelle sale americane lo scorso ottobre e ha ottenuto il più alto numero di nomination ai prossimi Oscar, ben nove, al pari di The Grand Budapest Hotel di Wes Anderson.

Il protagonista è un affermato attore hollywoodiano, Riggan Thompson, famoso per aver interpretato un supereroe sul grande schermo e deciso a dimostrare al grande pubblico le sue capacità attoriali tramite l’adattamento teatrale di un libro di Raymond Carver. Conosceremo tutta la compagnia impegnata nella pièce teatrale, l’agente di Riggan e il dietro le quinte del teatro di Broadway, fulcro di tutta l’azione.

Gli aspetti metacinematografici della pellicola sono molteplici, a cominciare dal riuscitissimo cast: Michael Keaton è Riggan/Birdman, uno dei Batman diretti da Tim Burton, rimasto come uno degli uomini pipistrello più iconici al cinema. L’egocentrico Mike Shiner è Edward Norton; lo stesso che ha rifiutato il ruolo di Hulk nella trasposizione cinematografica di The Avengers, più volte citato durante il film. A completare il cast Naomi Watts nel ruolo di un’attrice che sogna da sempre di calcare un qualsiasi palco di Broadway ed Emma Stone nei panni della figlia di Riggan.

Il regista affonda un colpo da vero maestro. Il film è girato come un unico piano sequenza, senza nessun apparente taglio di montaggio, con una macchina da presa che si muove in maniera labirintica nei meandri delle quinte del teatro. Con una narrazione a tratti soffocante, il punto di vista cambia di continuo e diventa in soggettiva quello di uno dei protagonisti, poi quello di un narratore diegetico, poi extradiegetico. Il film riflette sullo spettacolo in senso lato: sulla condizione dell’attore ai tempi della fama consumata sui social network e calcolata sulla base delle visualizzazioni su youtube, sull’impossibilità di scrollarsi di dosso un ruolo che Hollywood ti ha affibbiato, sul potere che la stampa ha di esaltarti e demolirti insieme, sull’ego dell’artista sviscerato in tutte le sue forme. Iñárritu riesce a raccontare tutto questo in quasi due ore di pellicola con un ordinato senso del caos, interno ed esterno ai protagonisti, costruendo un racconto lucido e rocambolesco perfettamente orchestrato.