Mustang (recensione)

I Mustang sono cavalli selvatici dalle folte criniere, spiriti liberi, indomabili per natura e incapaci di crescere in cattività. Queste sono Lale, Nur, Ece, Selma e Sonay, cinque sorelle di un piccolo villaggio a mille chilometri da Istanbul. L’ultimo giorno di scuola, Lale saluta la sua insegnante preferita che si trasferirà presto nella capitale turca; le cinque sorelle vanno a festeggiare la fine dell’anno scolastico con un bagno al mare insieme ai compagni “maschi” facendo l’errore di salire su di essi cavalcioni. Neanche il tempo di rientrare a casa e la notizia dello “scandalo” è già giunta alle orecchie della nonna e dello zio. Inizierà un regime domestico restrittivo, basato sul maschilismo, che vedrà le cinque ragazze prigioniere in casa propria e costrette a una serie di matrimoni combinati per ristabilire l’onorabilità della casa.

Mustang è l’opera prima di Deniz Gamze Ergüven, regista turca naturalizzata francese, che ha ricevuto una nomination agli Oscar e una ai Golden Globe come miglior film straniero. La pellicola è stata presentata con un ottimo riscontro di pubblico durante i Quinzenne des Réalisateurs all’ultimo Festival di Cannes. Le cinque attrici, bellissime e giovanissime, sono tutte al debutto sul grande schermo.

In tendenza con il cinema dei nostri giorni, anche in questa pellicola il punto di vista si allinea con la più piccola di casa: è Lale a raccontarci la storia; succube di un futuro già scritto, guarda con orrore al suo destino e delle sue sorelle programmando la fuga nella lontana Istanbul. La regista racconta questa storia con naturale vivacità, con lo spirito di chi vuole vivere la propria giovinezza a tutti i costi. Le cinque sorelle sono davvero cavalli indomabili in corsa verso il proprio spirito libero, frenato da una realtà sociale incapace di vivere il proprio tempo. Mustang è un vero film femminista, fatto da donne e che parla di donne; l’uso della camera a mano restituisce allo spettatore questo senso di rincorsa verso l’agognata dignità delle protagoniste. La macchina da presa indugia continuamente sui corpi che vogliono scoprirsi e conoscersi. I riferimenti a Kechiche e Sofia Coppola sembrerebbero evidenti ma la firma della Ergüven si evince nella lettura della fisicità e dell’aggregazione femminile in un ambiente di costrizione ben diversi per contesto geografico e religioso, affermando con voce più profonda la condizione di donne senza mezze misure. Ad aprire e chiudere la pellicola la figura dell’insegnante, punto di riferimento per Lale, come riprova dell’importanza delle figure cardine nella formazione dell’individuo e della cultura come fondamento primario di tutte le società.